12 novembre 2017

XXXII DOMENICA T.O. (ANNO A )


Sap  6,12-16            1Ts 4,13-18        Mt 25,1-13

OMELIA

Il tempo rappresenta il terreno sul quale, progressivamente, siamo chiamati a realizzare la nostra identità e la Sapienza, oggi, ci vuole condurre a intuire cosa significhi andare incontro al Signore, poiché tutta la vita del cristiano è una costante attrazione alla trasfigurazione nel mistero di Gesù. Infatti, l’uomo vive nel tempo e nello spazio, in una condizione di continua attesa dell’incontro finale con il Maestro. Noi siamo stati creati per cantare eternamente la gioia della nostra esistenza.

Un cristiano che avesse paura, a livello interiore, dell’incontro finale o della morte, non ha mai conosciuto il Signore, poiché la bellezza di essere attirati al Maestro nasce dalla convinzione che il Maestro è l’unica sapienza della nostra vita.

Alla luce della Parola che questa mattina Gesù ci regala, possiamo entrare in questa sapienza che è crescere giorno per giorno nel desiderio del Signore, sapendo che tutti saremo incontrati dal Signore, come ha detto molto bene l’Apostolo Paolo. Tutti saremo rapiti nel mistero della gloria divina.

Alla scuola di Matteo possiamo essere aiutati a personalizzare questa affascinante verità.

Il brano evangelico mette in luce tre aspetti sui quali la Sapienza, questa stamattina, ci vuole introdurre, in modo che lo scorrere della vita sia un continuo crescere nel desiderio di contemplare eternamente Gesù.

Innanzitutto, vediamo l’immagine del grido a mezzanotte.

Secondo la visione cara alla Divina Scrittura, Dio appare sempre di notte, perché la notte è il luogo della gratuità di Dio, la notte è il luogo della libertà di Dio, la notte è la gioia di stare nelle mani di Dio, per cui il cristiano sa, esistenzialmente, di vivere nella notte di Dio, nella creatività libera e liberante di Dio.

Noi non ci poniamo mai il problema del quando moriremo, poiché è un problema superficiale.

La bellezza della vita è la certezza che il Signore viene in ogni momento. Ogni momento il Signore entra nella nostra esistenza, ci dà la sua pienezza, ci avvolge del suo mistero e ci dice ogni giorno che siamo suoi.

Una simile lettura fa sì che il cristiano non si ponga in modo drammatico il problema del quando il Signore verrà, perché ha la certezza “Oggi il Signore viene”, “Oggi mi dà la vocazione all’eternità”, “Oggi mi riveste di eternità”.

Per accedere in questo itinerario interiore, la seconda condizione che ci è posta davanti è l'approfondimento del linguaggio delle lampade sempre accese.

Gesù, cosa voleva dirci in queste lampade accese?

L’immagine ci richiama alla conclusione del discorso della montagna, dove Gesù dice che siamo chiamati ad ascoltare e a mettere in pratica, dove quell’ascoltare è lasciar spazio, abitualmente, alla signoria di Dio. Avere l’olio per la lampada non è nient’altro che avere il cuore sempre aperto all'attesa del Signore in ogni istante della vita.

Questa costituisce una dinamica relazionale che, continuamente, avvolge la nostra esistenza e ci fa intuire che senza il Signore non possiamo affatto vivere.

E’ questo un criterio fondamentale per poter andare incontro al Signore nella gioia!

Avere l’olio con le lampade sempre accese vuol dire che alimentiamo quotidianamente il volto luminoso di Cristo che in noi si fa attendere, crescendo nella comunione con la sua persona.

In quel grido “Ecco lo Sposo che viene”, avvertiamo la presenza dello Sposo che è già dentro di noi e che ci attira nella pienezza della sua luminosità!

L’incontro glorioso nasce dal Signore, la cui presenza noi coltiviamo continuamente, perché quando Egli verrà nella Sua libertà, noi siamo già assetati della contemplazione del Suo Volto e possiamo inebriarci della sua presenza definitiva. Il cristiano quando cammina profondamente nella fede, non si pone mai la domanda “Quando morirò?” ma “Quando vedrò finalmente il Signore faccia a faccia?”.

E’ una lettura positiva della vita perché non dobbiamo essere presi dai terrori delle ombre.

La bellezza della vita è la presenza abituale di Gesù che ci attira nella Sua pienezza.

In un certo qual modo il morire è dire “Finalmente Ti potrò vedere!”

E’ il desiderio dei desideri che continuamente si sviluppa dentro di noi e ci dà la certezza di questo incontro.  

Noi ora stiamo desiderando Colui che in noi si fa desiderare in modo veramente prorompente.

Ma c’è il terzo aspetto che Gesù ha voluto sottolineare nella parabola attraverso quel dialogo conflittuale tra le cinque vergini stolte e le cinque vergini sagge.

Cosa voleva dirci Gesù in questo dialogo che, in una certa sensibilità cristiana, può far difficoltà?

Gesù ci ha detto una cosa molto semplice: l’incontro con Lui è personale e non è su delega.

La bellezza del rapporto credente è l’incontro di due persone: Gesù e la nostra persona, perché nella nostra persona si decide la nostra esistenza. Infatti l’atto del morire è l’atto in cui l’uomo si consegna con gratitudine a Colui che lo ha condotto per tutta la vita, per accedere alla luminosità eterna. La vita è un dialogo, oggi, tra ineffabilità amorosa di Dio e l’uomo che pone tutta la sua persona con tutte le sue caratteristiche in questo meraviglioso rapporto relazionale.

Come conseguenza ci accorgiamo della bellezza di essere persone che, nella intensa relazione con il Maestro, non facciamo nient’altro che dilatare quella attrazione che il Signore, in noi, sta operando continuamente. La bellezza del Paradiso sarà nient’altro che la pienezza dei doni di Dio, dove noi, questi doni li sviluppiamo in una relazione di accoglienza quotidiana del Divin Maestro.

Ecco perché la Sapienza, oggi, ci prende per mano e ci dà la gioia dell’oggi.

Oggi, Gesù ci ama! Oggi, ci attira! Oggi, senza di Lui non possiamo vivere! Oggi, stabiliamo un linguaggio di Amore con Lui che è il criterio portante della nostra storia e della nostra esistenza!

Allora intuiamo perché Gesù ci abbia regalato la Parola e l’Eucarestia, perché oggi siamo qui.

Il Signore, in quell’ultima cena, ci ha regalato la Sua presenza come Parola e come Pane e Vino perché non ci dimenticassimo di attenderLo. La parola e l’Eucarestia sono momenti provvisori nei quali e attraverso i quali noi sviluppiamo questo senso della attesa.

La bellezza dell’Eucarestia è la gioia di attendere il Signore.

Non lo diciamo tutti i giorni: “Annunciamo la Tua morte Signore, proclamiamo la Tua risurrezione, in attesa della Tua venuta”?

L’Eucarestia è per gli assetati del volto di Dio! La bellezza delle Chiese antiche era il catino absidale dove la meta non era l’altare, la meta era la trasfigurazione nella Gloria.

Andare all’Eucarestia è sviluppare il desiderio di una pienezza di Gloria.

Se noi cogliessimo in verità la bellezza di un simile itinerario spirituale, potremmo veramente dire che l’andare all’Eucarestia è maturare giorno per giorno nell’intensità di questa presenza del Maestro che in noi sviluppa tutte le sue potenzialità perché mente, cuore e sensi siano orientati alla trasfigurazione della Gloria. Di conseguenza ci accorgiamo che dal banchetto sacramentale di questa assemblea liturgica veniamo continuamente stimolati al banchetto eterno “Beati gli invitati alla cena delle nozze dell’Agnello”: lì sarà la pienezza della nostra vita!

Viviamo così questa prospettiva che la sapienza, questa stamattina, ci vuol regalare, in modo che, davanti al mistero della morte, diciamo “Ecco il punto di partenza per un Paradiso eterno”.

La morte diventa la gioia di abbandonarci a questa Gloria inesauribile dove, per sempre, vedremo il Signore.

Questa sia la forza e la speranza che vogliamo portarci a casa per essere, come ha detto Paolo, di quelli che credono, che sperano la venuta del Signore. Noi abbiamo la certezza, che in questa celebrazione sacramentale stiamo già vivendo la comunione eterna: ora siamo solo in attesa.

Quando saremo nel Signore in pienezza, capiremo che è bello credere oggi per vedere eternamente il volto glorioso delle tre Persone divine.




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